sabato 9 maggio 2015

Il villaggio di cartone

IL VILLAGGIO DI CARTONE



Produzione Italia|2011
Regia Ermanno Olmi
Sceneggiatura Ermanno Olmi (con la collaborazione di Claudio Magris e Gianfranco Ravasi)

Con Michael Lonsdale|Rutger Hauer|Massimo De Francovich|Alessandro Haber

 

 

 

 

Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi ha attirato la mia attenzione tramite alcuni stralci di interviste al regista che mi è capitato di leggere: La vera fede è quando il peso dei nostri dubbi è superiore a quello delle convinzioni. Per essere uomini di fede bisogna avere davanti a sé un muro di dubbi. Troppo comodo affidarci all'ideologia o alla religione, affidarci ad altri che pensino per noi. Nei momenti terribili della vita ci chiediamo dove sia Dio, e sapete perché lui non risponde mai? Perché dobbiamo rispondere noi. Troppo comodo far rispondere lui". "La vere fede sta nelle nostre coscienze. La globalità ha cambiato l'immigrazione: dietro le merci si accodano i popoli, donne, uomini. Tutto sta cambiando, la crisi crea equivoci: dopo la guerra abbiamo lavorato per diventare ricchi. Invece, siamo diventati miserabili. Stiamo perdendo anche i valori della convivenza e della solidarietà. E la fede non ci basta più per conservarli".il-villaggio-di-cartone-213534

Probabilmente Olmi abolirebbe la Chiesa in favore di Cristo e anche se in questo c'è una certa contraddizione è un tema che obbliga la riflessione a piegarsi verso un uomo crocifisso e lui sceglie di andare oltre il sofferente di legno appeso alla parete di una chiesa ed inginocchiarsi di fronte a quelli in carne e ossa, i più umili del nostro tempo.
Mi è parso di capire che Olmi veda la religione cattolica un po' come vedrebbe il Colosseo; un immenso reperto, immobile, bellissimo, che richiede ampi sforzi di gestione ma è privo di funzione. Tuttavia, ad oggi il Colosseo è ancora capace di suscitare grande meraviglia e soprattutto racconta una storia. Ed è chi racconta storie, e chi lo fa con desiderio di testimonianza, a preservare la cultura degli uomini perché non finisca spazzata via o, peggio, piegata alle esigenze di qualche potere.
Non a caso Olmi è tra quelli che hanno scelto di narrare storie e ne Il villaggio di cartone ci parla di un vecchio prete che assiste con dolore allo svuotamento della sua chiesa. Le immagini sono suggestive, giochi di luci, ombre e rumori, e mentre i tendaggi cadono a terra e il crocifisso viene calato con cautela e le statue dei santi incartate per essere portate via insieme al resto, c'è qualche passante, casuale o non, che guarda la scena da fuori, stagliato contro la luce che entra dall'ingresso della chiesetta.
Il vecchio prete non sa se opporsi o disperarsi e le tenta entrambe, ma quando poi resta solo, nella sua canonica, si abbandona al dubbio. Dubbio che ha sempre portato con sé, ma tenendolo ben nascosto sotto la veste da prete. “Quando ancora la domenica queste panche si riempivano di fedeli, mi capitava una sensazione di vuoto, era il dubbio dentro di me...”
villaggiocartone3In queste condizioni d'animo si trova ad ospitare un gruppo di clandestini africani che con i cartoni che un tempo davano gli avvisi ai fedeli si costruiscono un piccolo villaggio nella chiesa spoglia, si coprono con le vesti dei chierichetti, si scaldano con le candele e mettono l'acquasantiera a raccogliere l'acqua che piove dentro dal tetto.
Non sappiamo il motivo preciso della sconsacrazione di quel luogo e non è precisata nemmeno l'epoca o dove si svolgono i fatti, ci sono alcuni riferimenti, ma è tutto particolarmente simbolico. Infatti il film vuole essere una sorta di parabola. Ogni personaggio dovrebbe avere il suo ruolo nella costruzione di una metafora.

"Ma cosa può esserci di più importante dell’accoglienza? Vorrei ricordare ai cattolici, e io sono tra questi, di ricordarsi più spesso di essere anche cristiani. Il vero tempio è la comunità umana". (Ermanno Olmi)

Fin qui la questione mi pareva molto accattivante, ma a mio parere il film non riesce del tutto nel suo intento.
Uno dei problemi è che ci si aspetta un'interazione maggiore di quella che effettivamente avviene tra il personaggio del prete e lo strambo gruppo di clandestini e poi, questo è il problema sostanziale, mette in campo tante argomentazioni, alcune che appaiono anche palesemente fuori luogo (non ho trovato una ragione nell'allusione al terrorismo), e poi non le approfondisce, non le racconta con sufficiente capacità comunicativa.
Quando al vecchio prete viene chiesto perché correre il rischio di ospitare quei clandestini lui risponde che “Quando la carità è un rischio, quello è il momento della carità.” Ma questo argomento si esaurisce qui.
Ad un certo punto il vecchio prete ripensa tutta la sua vita e la sua vocazione, tira fuori quel dubbio che tanto a lungo aveva celato. Parla di un incontro avuto in gioventù e mai dimenticato, quello con lo sguardo di una donna. “Perché il creatore ha messo questo fuoco dentro di noi e poi ci minaccia con il suo castigo?” E anche questo argomento viene abbandonato molto in fretta. Non resta il tempo e non c'è la giusta empatia per capire l'essenza del dubbio del personaggio.
Infine il prete dichiara di aver compreso l'inutilità della fede perché “Per fare del bene non serve la fede, il bene è più della fede.” Ma non ho ritrovato nel film quella riflessione dell'intervista che aveva catturato la mia attenzione. L'uomo di fede come uomo dei dubbi non viene raccontato, forse viene mostrato velocemente, ma un pensiero del genere meritava uno sguardo più approfondito.
Il dubbio esiste, è cosa certa, ed è proprio dell’essere umano, negarlo sarebbe da stolti. Ma a volte è proprio quel dubitare di sé stessi e delle proprie convinzioni che ti dà la misura di quanto queste siano valide o illogiche. Il dubbio è sano e costruttivo se non lo nascondiamo. Io dico che un uomo che vive confrontandosi ogni momento con un mare di dubbi è un uomo che cerca la verità, e chi cerca la verità è un uomo di fede.  
Nel film inoltre ci sono alcuni riferimenti precisi alla storia di Gesù, la nascita e il tradimento in particolare. Ad esempio quando il prete vede che c'è un bambino neonato va a cantare l'Adeste Fideles, in riferimento ad un altro bambino che era la luce del mondo, ma brillava in una grotta e non in una chiesa adorna. Però questi riferimenti sono messi in opera in maniera poco sapiente, come tanti altri di altra natura che si intuiscono, ma si colgono a fatica.
Nel film ci sono dunque degli spunti interessanti, ma nel complesso ci ho trovato una grossa confusione, non era chiaro l’intento, non era chiara la chiave di lettura.

il villaggio di cartone

6 commenti:

  1. Tra quelli di Olmi è uno dei mancanti, ma a questo punto posso anche attendere.

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    1. oppure puoi dubitare della mia recensione ;) cosa che consiglierei effettivamente

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  2. Io l'ho trovato invece molto chiaro e diretto: è una parabola laica sulla sensibilità umana e sul valore dell'accoglienza e del rispetto. Lo schematismo e la semplicità sono ovviamente voluti. E c'è anche una non certo velata critica a una Chiesa Cattolica sempre più distante dai suoi fedeli, che Olmi aveva già aspramente criticato anche in 'Centochiodi', il suo film precedente... a me è piaciuto molto.

    Bella recensione, comunque.
    E già che ci sono ne approfitto (da buon ultimo, ma ognuno hai i suoi tempi... sob!) per assegnarti il mio Liebster Blog Award. Se ti va passa dalle mie parti! :)

    http://solaris-film.blogspot.it/2015/05/liebster-blog-award-2015.html

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    1. Cosa voglia criticare è chiaro, ma sarà quello schematismo che mi dici essere voluto che non mi ha permesso di rimanere abbastanza coinvolta. Sarà colpa della mia scarsa attenzione, ma necessito di essere rapita dal ragionamento ;)

      Grazie mille! Passo! Immagino che troverò una serie di domande difficili a cui rispondere ;)

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  3. Sembra comunque una visione interessante, da aggiungere alla collezione insieme a Doubt e La Messa è Finita. :D

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    1. Sì Sì! Ma non ho visto quelli che citi tu ;)

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